Una leggenda racconta che il Santo stesso abbia partecipato alla costruzione della chiesa; gli operai infatti, nelle ore di lavoro, vedevano aggirarsi in mezzo a loro una persona infaticabile che non conoscevano e alla quale non osarono mai chiedere chi in realtà fosse; il Santo poi, con grande meraviglia di tutti, scompariva misteriosamente al momento dei pasti e della paga.
La chiesa, probabilmente, ebbe in origine una forma basilicale, con le volte a trabeazione lignea, composta da una lunga e stretta navata centrale; col passare del tempo fu ampliata e le uniche date certe che ci orientano al periodo della sua pressoché definitiva costruzione, sono quelle incise sulle poche iscrizioni sparse per i muri delle varie cappelle; le date vanno dal 1551 al 1598. La chiesa assunse pian piano l’attuale stile gotico-aragonese, considerato uno tra i più completi esistenti nell’isola, insieme alla chiesa dedicata a Santa Giulia martire nella vicina Padria.
Una volta il sagrato era completamente circondato da un muretto con dei lastroni su cui sedersi, e mentre oggi vi si può accedere da tre lati, anticamente bisognava salire alcuni gradini con ringhiera in pietra, posti proprio di fronte al portone. La chiesa aveva inoltre un’entrata secondaria, posta sul retro, nella via Marconi.
La facciata, con qualche motivo romanico, conserva il rosone, ma una volta, in alto al portone, vi aveva scolpita, in bassorilievo, una teoria di santi, di cui rimane ancora qualche visibile traccia; l’architrave del portone, invece, portava scolpito il Cristo con altri santi, ippogrifi ed altre rappresentazioni mostruose; la piramide aveva due santi ai lati e, al centro, il patrono.
Varcato il portone, sulla sinistra sorge il fonte battesimale, poggiante su un pilastro con vasca marmorea e risalente al secolo XIX; sulla destra è posta invece la pila dell’acqua lustrale, in marmo bianco, al centro della quale campeggia una statuina marmorea policroma che alcuni vogliono identificare col santo patrono Giorgio e altri, molto più verosimilmente, con l’Arcangelo san Michele.
Anticamente, una volta varcato il portone, per poter accedere all’interno della navata, bisognava scendere alcuni gradini, in quanto l’attuale prònao e la navata stessa risultavano essere più in basso di circa 50 cm. rispetto alla posizione stessa del portone. Per visitare le attuali cappelle bisognava invece risalire di un gradino, la cui esistenza, come quella dei suddetti, venne accertata durante l’ultima ristrutturazione del tempio del 1983. In quell’occasione, sotto l’attuale prònao e sotto il pavimento della navata, vennero rinvenute alcune ossa umane; attigua alla chiesa c’era d’altronde l’area consacrata per le inumazioni dei fedeli. Raccolte e sistemate dentro tre sarcofaghi di pietra, rinvenuti uno accanto all’altro, ora giacciono a un metro di profondità nell’area di destra poco distante dalle cappelle dei santi Antonio da Padova e Raimondo Nonnato.
Prima del 1880, il pavimento del tempio era costituito da grossi lastroni di ardesia, sotto alcuni dei quali fu rinvenuta la grossa lastra tombale in pietra bianca, con iscrizione, ed ora murata sulla parete della cappella dei santi Andrea, Gavino e Barbara; la grossa lastra ricopriva la tomba di una certa Elena De Leda, deceduta nel settembre 1551. Alla fine del secolo XIX furono problemi di umidità quelli che costrinsero allo scalzamento del pavimento in ardesia; durante il suo rifacimento, stavolta in marmo, si decise inoltre di sopraelevarlo con la speranza che non si ripetessero i fenomeni di umidità dei tempi precedenti.
In ordine di tempo viene poi la già accennata ristrutturazione del 1982-83. Del nucleo originario della chiesa sono comunque rimasti l’abside, la sacristia ed il campanile di forma parallelepipeda, cui si aggiunse più tardi una piccola piramide. Ad attestare lo stile gotico-aragonese sono gli archi della navata, tanto alti quanto larghi, e l’aquila, simbolo della casa aragonese, scolpita su una chiave di volta; tra gli altri segni: il sole, la luna o simboli sacri.
L’altare maggiore era anticamente ornato da una pala composta da sei tele dipinte tra il XVI e XVII secolo e attribuite a pittori d’ottima mano; l’Angius cita anche due pregevoli quadri, opera di “pennello celebre”, che alcuni hanno esageratamente legato alle scuole di Michelangelo, Leonardo e Raffaello. Le sei le tele, trasformate in quadri dopo il restauro, sono: San Girolamo, la Crocifissione, San Giovanni Battista, Sant’Antonio da Padova, la Sacra Famiglia e la Ss. Trinità. La tela rappresentante la Crocifissione sembra ricalcare un prototipo di Guido Reni; nella Sacra Famiglia e nel San Girolamo sembrerebbero risultare molti richiami alle opere di Giovan Francesco Barbieri, detto il Guercino, e a quelle di Francesco Mazzola, conosciuto come il Parmigianino. La tela rappresentante la Trinità si trova nella sacristia; Dio Padre appare avvolto in una veste bianca e in un ampio mantello azzurro, col capo circonfuso da un alone luminoso in forma di croce; tra le braccia aperte aleggia una colomba bianca, simbolo dello Spirito Santo.
Oggi l’altare maggiore si presenta completamente in marmo, policromo, e risale al periodo degli importanti lavori di rifacimento eseguiti tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo; forse gli stessi che interessarono la pavimentazione della navata. È formato da una mensa a tre gradini e due coppie laterali di colonne corinzie, al centro delle quali è la nicchia del titolare San Giorgio, che uccide il drago stando in groppa al suo cavallo; la statua fu donata da Monsignor Antonio Pasquale Rosa, protonotaio apostolico della cattedrale diocesana, nel 1847; questa l’iscrizione posta alla base della statua: ECCLESIAE SUAE A. 1847 RDMVS S.T.D. ANTONIUS PASCALIS ROSA PROTONOTARIUS APOSTOLICUS CATTEDRALIS ALGARENSIS.
La chiesa parrocchiale è ad una sola navata, con cinque cappelle per lato.
La prima a destra fu costruita agli inizi del XX secolo da artisti locali e inizialmente intitolata a San Giuseppe; fino al 1982 ospitava, in una nicchia sulla parete sinistra, la statua del Gesù orante nel Getsemani, talvolta usata per la preparazione del “sepolcro” del giovedì santo. Nel 2019 è stata reintitolata alla beata Edvige Carboni, la cui effige ora occupa la nicchia del dossale marmoreo; mentre sotto a un nuovo altare è stata sistemata l’arca contenente le sue spoglie mortali.
Segue la cappella oggi dedicata all’Immacolata, di fattura locale e neobarocca, databile attorno al secolo XIX; anticamente era dedicata alla Vergine del Santo Rosario, la cui statua lignea, risalente al medesimo periodo, fino al 1982 veniva custodita in una nicchia scavata sulla parete sinistra. Questa cappella fu, per un certo periodo, anche sede del Santissimo, e comunicava con quella attigua dedicata a Sant’Anna, tramite un’apertura a forma di mezza luna, ancora visibile nonostante sia stata da tempo murata. La cappella ora ospita un antico confessionale, lo stesso al quale la Beata Edvige si accostava per il sacramento della Penitenza.
La cappella centrale è dedicata a Sant’Anna, rappresentata con la Vergine e San Gioacchino in un bel quadro dipinto da un ignoto pittore sardo del secolo XIX. Ai lati della cappella vi erano delle pitture, eliminate durante l’ultima ristrutturazione della chiesa, perché non più leggibili; una di queste venne eseguita sulla muratura dell’apertura a forma di mezza luna di cui si è già detto. Anticamente era cinta sul davanti da una balaustra, in ferro. Oggi vi è anche custodita l’Assunta, un bel simulacro in legno del secolo XIX; la Vergine dormiente riposa in una lettiga in legno con copertura in cristallo.
In alto alla cappella di Sant’Anna sorge la bellissima statua in pietra policroma di San Sebastiano, alta 170 cm. Il simulacro del santo è inamovibile, perché scolpito sulla viva roccia; sotto di esso c’è la data 1570: ennesimo apporto per orientarci sull’epoca di costruzione della chiesa.
Le altre due cappelle che seguono sono dedicate, rispettivamente, a San Raimondo Nonnato e a Sant’Antonio di Padova e risalgono alla fine del XIX secolo. In alto alla penultima cappella è posta un’iscrizione in marmo attestante alcuni lavori di restauro risalenti al 1598: HOC OPUS FECERVNT FIERI PRESBITER PETRV PALA E IOES PALA OERI 1598.
Dalla cappella di Sant’Antonio si entra nella sacristia; qui, al centro del vecchio armadio per la conservazione degli arredi sacri, è posta una bellissima statuina policroma in legno intagliato rappresentante la Madonna col Bambino con a fianco San Rocco. La Vergine ha una veste rossa e un manto azzurro, mentre San Rocco, di dimensioni molto piccole, porta il cappello e il bastone da pellegrino; il piccolo gruppo ligneo è della prima metà del XVIII secolo.
Ai lati della balaustra che circonda il presbiterio, sino al 1982, erano presenti due nicchie-altarini, entrambi dedicati alla Vergine; sulla parte sinistra c’era il simulacro dell’Addolorata e sulla destra quello della Beata Maria Vergine di Lourdes.
Esaminando le cappelle di sinistra, partendo dall’alto, si trova l’altare in marmo dedicato alle Anime del Purgatorio eretto nel 1904.
La seconda cappella è dedicata ai santi Andrea, Gavino e Barbara; le statue vennero scolpite, probabilmente, dallo stesso artista e son poste in tre diverse nicchie di un bellissimo altare ligneo, notevole per i suoi intagli a doratura, di evidente fattura isolana pur se ad imitazione delle scuole toscane. I tre simulacri sono della fine del secolo XVI; quelli di San Gavino e di Santa Barbara colpiscono per lo scintillio degli ori, la vivace policromia e gli occhi sgranati; San Gavino tiene in mano lo stendardo di Torres.
Segue la cappella dei santi Sebastiano, Lorenzo e Narciso, anch’essi incastonati in tre nicchie di un bellissimo altare ligneo, barocco; le tre statue dei santi sono opera di intagliatori locali e risalgono alla fine del secolo XVIII. Sul lato destro è posto il bellissimo gruppo ligneo del San Giorgio, di fattura ispanica e risalente al secolo XVI; il Santo, rivestito di corazza e di elmo, sta in groppa al suo cavallo e trafigge il drago che tiene le fauci spalancate. Il 23 di aprile viene portato processionalmente per le strade del paese.
Tra la cappella in esame e quella precedente è posto il pulpito ligneo, risalente al periodo posto tra la fine del secolo XVIII e gli inizi del XIX.
La penultima cappella, una volta dedicata al mistero dell’Annunciazione, è oggi intitolata alla Vergine delle Grazie; sino agli anni Sessanta vi si conservava il Santissimo, una volta trasferito da quella posta di fronte. Ha l’altare ligneo, più o meno simile alle precedenti due; la volta è a scacchiera con motivi fitozoomorfici. Una volta la cappella era circondata da una balaustra in legno, con cancelletto in ferro sul davanti; oggi è l’unica cappella priva di murature laterali, fatte abbattere nei primi decenni del XX secolo.
L’ultima cappella è dedicata al Sacro Cuore di Gesù e risalente ai primi del Novecento; sul lato sinistro è posta la nicchia di San Francesco d’Assisi e la porta che conduce in cantoria dove è possibile vedere quanto rimasto dell’antico organo: la tastiera, ormai logora, e la semplice struttura esterna o custodia. Dal 14 settembre 2000 ospita una copia a grandezza naturale della Sacra Sindone.
Tra i culti più antichi e sentiti, accanto a quello di San Giorgio, c’è anche quello verso San Sebastiano. Una volta si venerava anche il vescovo San Narciso, che liberò il paese da un’invasione di locuste, e il patrono degli autisti, San Cristoforo, venerato oggi nella chiesa di San Costantino.
Con la ristrutturazione degli anni 1982-83, la chiesa parrocchiale è stata arricchita da una nuova Via Crucis, composta da quindici formelle in bronzo, opera dello scultore bortigalese Pietro Longu.
Nell’autunno del 1998, in vista del Giubileo dell’anno 2000, alle preesistenti due campane, un Sol di 485 chilogrammi e un Do di 205, ne è stata aggiunta una terza, un Mi di 100 chili, ribattezzata Edvige.
Infine nell’ottobre 2013 sono state sostituite le sei finestre e il rosone centrale con delle vetrate istoriate raffiguranti i momenti più significativi della Storia della Salvezza: l’Annunciazione, la nascita di Gesù, il Battesimo, la Predicazione, l’Ultima Cena, la Risurrezione e la Pentecoste.
Rielaborazione del testo originario di Ernesto Madau contenuto nel libro Edvige Carboni: ricordo della Serva di Dio nella testimonianza dei concittadini di Pozzomaggiore, Sassari, 1990.