Secondo i programmi dei molteplici governi che in questi ultimi anni hanno, nel bene e nel male, dato alla luce numerose leggi di settore che recitano di tributi locali (ICI, IMU, TARSU, TARES, TASI, TARI, e altre sigle sempre meno comprensibili) quelle che impongono tributi, in particolare sull’abitazione principale, sono polpette avvelenate, le più difficili da digerire.
In uno stato di diritto, come riteniamo sia il nostro, le decisioni, a prescindere dalle competenze finali che sono quelle relative alla promulgazione delle leggi e decreti, sono competenza precipua dei governi centrale e regionale senza che i comuni siano in qualche modo interessati nello studio e nella proposizione in maniera referente degli stessi per poter consegnare al legislatore disposizioni che tengano conto delle diverse realtà delle nostre comunità.
E’ pur vero che nel nostro “stato di diritto” i governi che si sono succeduti hanno individuato nel patrimonio immobiliare cespiti sicuri da dove attingere come nel pozzo di San Patrizio, fondi per far marciare la macchina Italia; con leggi di settore spesso incomprensibili anche per gli stessi addetti ai lavori.
Non considera anche il nostro “stato di diritto” che degli 8092 comuni italiani (salvo variazioni dell’ultim’ora derivanti da improbabili decisioni sull’accorpamento degli stessi) le cose non sono uguali per neanche una di queste realtà locali, sia per quanto si riferisce alla dinamica della popolazione residente, da Roma che conta i suoi due milioni e mezzo di abitanti a Morterone che ne conta solo 33, dicevo, ciascuno dei nostri comuni ha una storia diversa, amministratori con idee assolutamente diverse, esigenze diverse, obiettivi e programmi diversi, aspettative frutto di programmazioni derivanti dalle specificità di ogni singolo comune, ma con obblighi uguali per quanto si riferisce ai tributi “comunali”.
Il principio della capacità impositiva, figlia della potestà regolamentare assegnata dallo Stato ai comuni, è preludio all’autonomia gestionale limitata dalla forbice d’intervento e pesantemente penalizzata dalla mancata possibilità di interpretazione autentica di disposti legislativi, che, dicevo, niente lasciano alla discrezionalità delle amministrazioni, se non quelle di consentire la non applicazione di una qualsivoglia gabella incorrendo però in sanzioni quali la riduzione nella stessa misura dei trasferimenti erariali che sono poi quelle somme che consentono ai comuni di sopravvivere e niente di più.
La famigerata De Marzi – Cipolla mirata a frenare l’egemonia dei grandi latifondisti, in particolare del nord Italia, applicata anche alla piccola proprietà contadina della nostra isola ha creato non pochi disagi a chi, dopo anni di lavoro, era riuscito ad acquistare un fazzoletto di terra per ricavarne un sicuro cespite.
Questo susseguirsi di leggi che assegnano alle amministrazioni comunali il compito di gabellieri dello Stato, penalizza ulteriormente l’azione amministrativa, ne cripta la capacità d’intervento e fa toccare con mano la sofferenza delle famiglie, dei giovani, delle imprese, facendo intravedere un futuro incerto che non lascia presagire niente di positivo.
La riduzione dei trasferimenti in enti come il Comune di Pozzomaggiore, che non può contare su entrate proprie, è causa anche della limitazione nella erogazione di molti servizi a favore dei cittadini, rende impossibile l’approvazione dei bilanci di previsione, l’incertezza totale accompagna le scelte, sempre più nel mirino della Corte dei Conti e dei numerosi organi di controllo.
Insomma il nostro “stato di diritto” ci ha messo dentro un imbuto, dentro un passaggio obbligato che blocca la capacità di spesa, non consente il normale funzionamento dei servizi.
Ci offre l’unica medicina come opzione di scelta che è quella del prelievo fiscale a carico dei cittadini che a causa della mancanza di lavoro, di prospettive positive per i propri figli stanno perdendo quella fiducia conquistata nel tempo dalle istituzioni.
Noi abbiamo gli stessi diritti di quegli altri 8091 comuni italiani, abbiamo gli stessi obblighi e diritti di Roma Capitale e di Morterone, dobbiamo rivalutare la pastorizia, l’agricoltura, favorire l’imprenditoria giovanile, lo sviluppo economico e sociale di Pozzomaggiore, come succede in tutti i comuni italiani, con leggi settoriali e provvedimenti ad hoc, vogliamo vedere realizzato il turismo sostenibile cui guardiamo con ottimismo e speranza, vogliamo la rinascita dell’artigianato, vogliamo essere capaci di disporre e regolamentare la vita del nostro paese.
Vogliamo vedere spalancate le porte dei palazzi di Roma, di Cagliari e di Bruxelles che accolgano le nostre proposte, che ci consentano di scegliere.
Non si possono fare le nozze con i fichi secchi come pensano di farci fare offrendoci la capacità impositiva e proprio per questo sull’argomento dei tributi lo Stato e la Regione ci dicono di imporre nuove tasse così da poter, dicono loro, ottimizzare i servizi resi ai cittadini, favorire l’istruzione, la vita dei giovani e degli anziani, ecc., ma così non è: i soldi li riscuotiamo noi ma vengono immediatamente prelevati dallo Stato.
A questo punto ci ribelliamo, non ci stiamo! Rifiutiamo assolutamente di applicare nuove gabelle a carico dei cittadini che ormai non sono alla frutta ma al digestivo.
Assumendoci tutte le nostre responsabilità, consci di quanto detto sopra il Comune di Pozzomaggiore nella seduta del consiglio comunale prevista per il 4 settembre p.v., quando verrà approvato il bilancio e la relazione programmatica, disapplicherà la TASI, non aumenterà l’IMU, non ritoccherà le tariffe della TARI (tassa sui rifiuti urbani) e non applicherà l’addizionale IRPEF.
Vuol dire che spalmeremo meglio le poche risorse a disposizione con ciò che passa il convento.
Tonino Pischedda,
Sindaco