Convegno del settore Giovani di Azione Cattolica
10/11 novembre, Domus Pacis, via di Torre Rossa, 94 – Roma
Del futuro delle nuove generazioni pare che nessuno voglia prendersene la responsabilità; davanti alle grandi questioni (gli innumerevoli ostacoli che si frappongono ai basilari progetti di vita quali l’autonomia economica, la precarizzazione talvolta selvaggia dei rapporti di lavoro, la costruzione di una famiglia, la scelta del luogo in cui vivere) sembra vinca la linea della conservazione dello status quo.
Parafrasando la frase cult dell’eroina del film “Via col Vento” i Giovani di AC non hanno voluto rimandare a domani la costruzione del loro futuro ma si sono voluti incontrare per mettere a fuoco ed interrogarsi sulle problematiche che caratterizzano il mondo giovanile degli ultimi anni.
Da qui è partito il convegno “Domani non è un altro giorno. Una responsabilità per il futuro” (organizzato dal Settore Giovani in collaborazione con l’Istituto per gli studi politici e sociali Vittorio Bachelet) in cui oltre 200 responsabili di AC di tutta Italia, cercando di sottrarsi alle continue etichette mediatiche, quali fra le ultime quella di bamboccioni, ripropongono il vissuto concreto di milioni di ragazzi che, è amaro dirlo, talvolta pensano di essere nati sì con i talenti giusti ma nel momento sbagliato.
Il convegno si è aperto con la testimonianza e la provocazione di tre giovani: Paola, 27 anni, di Termoli, che si è chiesta quale spazio può esistere per la crescita e la maturazione dell’autonomia dei giovani in una società come quella italiana, dove l’età giovanile si allunga fino ai 34 anni, dove il 23% della popolazione ha più di 65 anni ma continua a non voler invecchiare e far fatica a lasciar spazio ai giovani e dove la famiglia, cardine dello sviluppo etico e autonomista del giovane (in cui venivano dati principi e valori) è passata a essere una famiglia affettiva (che tende ad attenuare la conflittualità e proteggere gli ormai pochi figli dalle difficoltà esterne).
Di seguito le ha fatto eco Valentina, trent’anni, siciliana: laureata, specializzata, “plurimasterizzata”, conoscenza delle lingue, diverse esperienze all’estero. Eppure, ancora precaria, anzi stagista in una multinazionale.
La terza voce è stata quella di Eugenio, 28 anni, di Cosenza, che ha posto la questione della partecipazione politica dei giovani. Partecipazione che può assumere a volte le forme del silenzio, altre quelle dell’impegno sociale, ma appare sempre caratterizzata dal comune denominatore del disincanto verso una forma di partecipazione alla vita civile sempre più lontana dai bisogni del popolo e sempre più arroccata nei suoi privilegi.
Il non facile compito di dare una risposta a questo disagio è stato svolto dal Ministro per le Politiche giovanili e le attività sportive Giovanna Melandri il cui intervento si è concentrato soprattutto su due sfide per la politica: da un lato rimuovere le barriere di ordine materiale che ostacolano la crescita e la costruzione di autonomia dei giovani “…in una società che fa fatica ad essere adulta e anziana…“, ad esempio sostenendoli nella ricerca della casa e di un lavoro meno precario; dall’altro, svolgere un ruolo culturale, con l’impegno a valorizzare il “genio creativo” di ognuno contro una pedagogia della paura e del rischio che paralizza la progettualità delle nuove generazioni.
Tali problematiche sono state poi chiarite in una più ampia cornice storica dal prof. Roberto Cartocci, politologo dell’Università di Bologna, che ha descritto “il patto generazionale“: un sistema di contabilità pubblica in cui gli adulti lavorano e producono ricchezza per sostenere bambini e anziani, a cui si affianca lo Stato, che gestisce la solidarietà attraverso il pagamento delle tasse. È il cosiddetto Welfare State (o stato sociale) così come lo conosciamo in Europa, e, se funziona, è una fabbrica di uguaglianza. La diminuzione delle nascite da un lato, e l’allungamento della vita dall’altro, hanno portato a uno squilibrio tra pochi giovani attivi e una generazione anziana sempre più numerosa a cui la politica degli anni ‘70 e ‘80 non ha saputo assumere misure per salvaguardare i diritti sociali delle nuove generazioni.
E il patto generazionale? È tornato in famiglia. È di nuovo lei a svolgere il ruolo di solidarietà tra generazioni, tornando a occuparsi direttamente di bambini, giovani e anziani, con i pro e contro che questo comporta (ad esempio il ritorno a una forte dipendenza per la crescita di un giovane dalla condizione economica e sociale della famiglia d’origine).
Ad “alleggerire” l’atmosfera è stato l’incontro serale con la giovane scrittrice e blogger Michela Murgia, già incaricata regionale dei giovani di AC in Sardegna, premiata recentemente da pubblico e critica col libro Il mondo deve sapere – Diario tragicomico di una telefonista precaria, in cui racconta la sua esperienza di lavoro precario presso un call center: due ore di episodi tragicomici, di divertimento acuto e intelligente, e di amara riflessione su quello che succede alle persone quando il lavoro smette di essere “bene comune”.
A questa riflessione si è affiancata quella del prof. Roberto Gatti, ordinario di filosofia politica all’Università di Perugia, che a sua volta ha descritto il venir meno di una cultura del progetto in una situazione di crisi della politica, più favorevole all’ascolto dei poteri forti dell’economia e della finanza, piuttosto che alle novità ed esperienze delle nuove generazioni.
Ma come educare alla costruzione di una comune responsabilità per il futuro? Roberto Maurizio, della Fondazione Zancan ha portato non solo contenuti e linee d’indirizzo, ma anche idee ed esperienze concrete di partecipazione democratica e cittadinanza attiva a misura di ragazzi e adolescenti, come quella del Consiglio comunale dei ragazzi.
Il compito di tirare le conclusioni spetta ad Ilaria e Simone, vicepresidenti nazionali: “Questo è un tempo di incertezza non solo per i giovani di oggi, ma anche per quelli che lo saranno fra 10-15 anni. Un’incertezza che tocca sia gli ambiti della progettazione personale, sia gli ambiti della progettazione civile e sociale,in cui le giovani generazioni fanno davvero fatica a rispecchiarsi”.
Tuttavia è significativo che un’associazione come l’Ac, che quest’anno festeggia i suoi 140 anni di vita, sia nata proprio sotto l’impulso di due giovani, Mario Fani e Giovanni Acquaderni. Segno che dare spazio e voce ai giovani non è un azzardo, ma un investimento che spesso porta buoni frutti.
Daniele Santona