Viaggio nel mondo del lavoro

Il lavoro, realizzazione piena dell’uomo. Un diritto costituzionale spesso solo formale.

Benché il lavoro sia il principio fondamentale di tutte le società democratiche e civili, oggi sembra diventato solamente un’utopia. La disoccupazione è diventata la piaga numero uno dei paesi industrializzati, il combatterla, il principale obiettivo per il quale moltissimi giovani, indipendentemente dalle varie ideologie politiche, scendono in piazza e protestano contro un sistema produttivo che preclude loro il diritto alla vita, essendone il lavoro la sua più intensa manifestazione fisica e intellettuale.

Eppure questa protesta, che manifesta un profondo dramma individuale e sociale, sino a non molti anni fa, non avrebbe avuto alcun senso. In una società come quella sarda, le cui risorse economiche derivavano dalla lavorazione della terra, dalla raccolta dei suoi frutti, dalla caccia, la pesca e l’allevamento, il lavoro non era altro se non l’espressione della “buona volontà del cittadino”. In una comunità contadina la cui economia era di tipo familiare, non solo era normale ripartire il lavoro tra tutti componenti della famiglia, ma lavorare di più, con un maggior impiego di forza lavoro, era indice di grande ricchezza. Oggi la società è cambiata; il controllo sociale è tale che è ormai impossibile pensare di svolgere liberamente delle attività produttive seguendo ognuno la propria “buona volontà”; la salvaguardia della natura non consente più di usufruire dei suoi prodotti spontanei; il progresso tecnologico, svolgendo dei compiti che un tempo erano dell’uomo, aumenta sicuramente la produzione ma fa diminuire considerevolmente l’occupazione.
Lo scenario desolante sin ora descritto, non è peculiare solo della realtà sarda, ma nella nostra isola acquista caratteristiche distintive che ne evidenziano maggiormente la drammaticità e la gravità. Negli ultimi anni, la chiusura di scuole, poste, caserme, tribunali, non solo ci ha privato di servizi essenziali, dei quali, come liberi cittadini che pagano le tasse, avevamo pieno diritto, ma sono stati annullati migliaia di posti di lavoro e ci è stata preclusa ogni ulteriore possibilità di inserimento in un’economia nazionale meglio avviata e imperniata sull’occupazione e lo sviluppo. Date tali tristi premesse, possiamo vantare, come sardi, il triste primato d’avere ben 326.313 disoccupati, dei quali 3.420, su una popolazione attiva di 12.876 individui, 50110 stati registrati all’ufficio di collocamento di Bonorva, cui fa capo anche Pozzomaggiore. Per far fronte al doloroso problema della disoccupazione nell’isola, già nell’Aprile del ’97, è stato stipulato, tra il Presidente del Consiglio Prodi e il Presidente della Regione Sardegna Palomba, un protocollo d’intesa, che prevede un programma concordato tra Stato e Regione, per la rinascita economica dell’isola. Tra i punti più rilevanti del suddetto programma, possiamo ricordare la diminuzione del costo dell’energia elettrica, il quale, essendo uno dei più elevati d’Italia, impedisce l’apertura di nuove imprese e determina la chiusura di altre già avviate, provvedimenti per ottenere incentivi e agevolazioni per industriali e artigiani, nuovi impieghi nella pubblica Amministrazione e proposte per l’occupazione giovanile, con il finanziamento statale delle risorse regionali. Possiamo, a tal proposito ricordare che la Regione Sardegna, tramite la Commissione Regionale per l’impiego, ha dato il via alla pubblicazione dei bandi con i quali le singole Amministrazioni e gli Enti Pubblici possono aderire ai Lavori dì Pubblica Utilità. In Sardegna, come ha comunicato lo stesso ministro del lavoro, questa iniziativa ha prodotto, circa 19.000 nuovi posti con un investimento complessivo di 180 miliardi di lire; così, a sentir parlare dati e cifre il problema della disoccupazione sembra esser quasi totalmente risolto. Eppure, considerando attentamente i fatti, il Decreto Treu sembra offrire solo false speranze, proponendosi, come risoluzione momentanea e in molti casi inadeguata. I requisiti richiesti per essere assunti, infatti, precludono una gran fetta di popolazione, comprendendo esclusivamente persone con un’età utile compresa tra i 21 e i 32 anni, richiedendo un iscrizione all’ufficio di collocamento da più di 30 mesi e retribuendo i giovani avviati ai lavoro con un assegno mensile della cifra irrisoria di lire 800.000. In tal modo, pero, non si crea lavoro, non si da vita a nuove iniziative produttive, non si formano nuove figure professionali, non si incentiva la produzione, insomma, non vengono create tutte quelle infrastrutture che diano ai sardi la possibilità di operare nelle stesse condizioni del Nord Italia. Stiamo solo ripristinando, identico a sè stesso, quel sistema assistenzialistico e clientelare, che per decenni abbiamo combattuto, con le tristi conseguenze che ne derivano. Giovani senza lavoro, che spinti al limite della sopravvivenza, si vedono costretti, loro malgrado, a oltrepassare i confini della legalità, per tendere le braccia alla droga, alla delinquenza organizzata, all’usura. Eppure, lo ribadiamo, il lavoro, quello onesto, quello che consente la piena realizzazione dell’uomo, quello che solo conduce alla realizzazione di una società migliore, è un nostro fondamentale diritto, l’unico che conduce al vero equilibrio della società, al vero benessere dei cittadini.

Giulia Ortu

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